domenica 15 giugno 2008

Ambrosio: don Paolo Inzani dono per la nostra Chiesa

Piacenza - È il primo ed anche l’unico seminarista che viene ordinato sacerdote nella diocesi di Piacenza-Bobbio nell’anno del Signore 2008. Non solo: è anche il primo sacerdote ordinato dal vescovo Gianni Ambrosio. Ancora: ha 29 anni e rappresenta un soffio di gioventù nell’attempato clero piacentino. Con queste credenziali - alle quali si assommano quelle morali e spirituali - Paolo Inzani, di Lugagnano, da ieri pomeriggio è sacerdote della chiesa di Piacenza-Bobbio. Lo ha ordinato monsignor Ambrosio di fronte ad una cattedrale gremita di prebiteri, parenti, amici, compagni di scuola e di seminario di don Paolo. A presentarlo il superiore del Collegio Alberoni, padre Mario Di Carlo. Poi il vicario generale, monsignor Lino Ferrari, che si rivolge al vescovo Ambrosio con la formula rituale: «Reverendissimo padre, la santa Chiesa di Dio che è in Piacenza-Bobbio chiede che questo nostro fratello sia ordinato presbitero». Il vescovo lo interroga: «Sei certo che ne sia degno?» «Dalle informazioni raccolte presso il popolo cristiano - risponde il vicario - e secondo il giudizio di coloro che ne hanno curato la formazione, posso attestare che ne è degno». «Con l’aiuto di Dio e di Gesù Cristo nostro Salvatore - conclude Ambrosio - noi scegliamo questo nostro fratello per l’ordine del presbiterato». Nell’omelia il vescovo definisce un dono il sacerdozio ricevuto da don Paolo. «Un dono che, come tale, chiede solo di essere ricevuto, prima che capito» sottolinea il presule. Invita il giovane sacerdote ad aprire la mente e il cuore allo sguardo di Dio, «uno sguardo non interessato né generico ma appassionato e di amore».
f.fr.

Il testo integrale su Libertà di oggi 15 giugno 2008

Dina Bergamini: dedico il mio Antonino alla gente di montagna

Piacenza - Ha il sapore della gente di montagna l’Antonino d’oro 2008, «della dignità di una povertà felice». Così la professoressa in pensione, Dina Bergamini - madre, insegnante e catechista - “colora” il riconoscimento che ieri, in via ufficiale (durante il Consiglio pastorale diocesano alla Bellotta), il capitolo della basilica di Sant’Antonino le ha tributato. «Più che un omaggio a me - ci tiene a sottolineare - è un riconoscimento al mio ruolo di maestra e direttrice didattica prima, di catechista poi, alla gente della mia montagna. Nessun merito mio, solo quello della mia gente». L’Antonino d’oro del 2008 è un fiume in piena già al telefono e ricorda alla perfezione la passione con con cui il suo predecessore, il missionario don Luigi Mosconi, parlò dal pulpito lo scorso 4 luglio. Ringrazia gli amici - «quel poco che sono, lo devo a ciascuno di loro» -, ma, soprattutto, s’inchina alla montagna: «La montagna e il mio paese Grondone mi hanno insegnato la dignità della povertà felice. Io sono stata felice nella povertà della mia infanzia; eravamo tutti uguali. Quello che aveva uno avevamo tutti, non c’era il problema del grembiulino griffato o del telefonino. Se una madre faceva la ciambella per il figlio, faceva la ciambella per tutti». Valori che la professoressa non ha dimenticato e che ha cercato di incrementare: «Ho provato a incidere sulla cultura del mio paese per non subirla. Mi sono laureata che già facevo la direttrice didattica per fa capire ai ragazzi che non si smette mai di imparare». La scelta della professoressa Bergamini come Antonino d’oro 2008, si deve leggere, come ha spiegato il capitolo della basilica nella motivazione del premio, come «un atto di profonda stima e gratitudine a una donna che ha saputo esprimere un felice intreccio educativo nell’ambito familiare, scolastico (pubblico e privato) e parrocchiale». La sfida educativa, dunque, la strada indicata alla Chiesa da papa Benedetto XVI per i prossimi anni e fatta propria dalla Cei e dal vescovo Gianni Ambrosio nel programma pastorale del prossimo anno. Una sfida che, secondo la professoressa, si può vincere. Come? «I ragazzi di oggi, come quelli di allora, hanno bisogno di essere valorizzati nelle potenzialità che hanno. Prima di tutto ascoltiamoli con umiltà senza giudicarli, facciamoli sentire protagonisti e responsabili nel percorso di vita. Attraverso l’assunzione di responsabilità imparano l’educazione all’impegno e alla fatica. Sentendosi parte di un progetto che, per una come cristiana come me, è riconducibile alla provvidenza divina».
Federico Frighi

Il testo integrale su Libertà di oggi, 15 giugno 2008