mercoledì 5 novembre 2008

Opus Dei a Piacenza, laici impegnati nella società

Piacenza - L’Opus Dei piacentina si presenta. Lo fa invitando uno dei primi numerari italiani, l’ingegner Lorenzo Revojera, e proiettando all’auditorium della Fondazione di Piacenza e Vigevano lo storico filmato con le testimonianze di San Josemaria Escrivà, il fondatore dell’Opera nel 1928. Esattamente ottant’anni fa. «Non capita spesso di avere un filmato in cui parla un santo» osserva Revojera che, non a caso, definisce Escrivà «santo della vita odierna». Revojera fu il primo a Milano nel 1950, a chiedere l’ammissione all’Opus Dei. Pensionato, scrittore di libri di montagna, celibe, è numerario della prelatura.
«Per abbracciare l’Opus Dei - dice - è indispensabile la disponibilità a lasciarsi formare, fino ad arrivare ad un particolare grado di vita interiore da poter sopportare il peso di una vita impegnativa». In cui, ad esempio, c’è il cilicio, la pratica di mortificazione corporale che lo stesso Revojera ammette talvolta di far uso nei centri dell’Opera. «Far parte dell’Opus Dei significa studiare molto - mette in chiaro -, fare due mezz’ore di adorazione al giorno, la messa quotidiana. C’è un piano di vita da seguire piuttosto serio che consente poi di svolgere un apostolato a 360 gradi». C’è anche un lato oscuro della prelatura personale che Revojera ci tiene a smentire: «L’Opus Dei non ha nulla di segreto tanto è vero che abbiamo anche un sito internet che dice tutto di noi. Le porte dei nostri centri sono aperte, non c’è nulla di misterioso e anche questa supposta ricchezza è una favola. Tutte le nostre opere sociali sono assolutamente in deficit (collegi universitari, scuole, centri per l’infanzia, ambulatori)». «Queste dicerie - secondo il numerario - si sono create per due motivi: prima di tutto perché il diavolo esiste, poi perché la Chiesa è sempre stata calunniata nel passato, cominciando addirittura da Nostro Signore, andando avanti con i martiri cristiani fino a Padre Pio».
Si proietta il filmato di San Escrivà. Il suo messaggio è estremamente attuale: «La promozione dei laici nella chiesa con responsabilità apostolica formativa anche pubblica e poi il messaggio della santificazione della vita ordinaria. Il nostro lavoro può essere il cammino dello nostra santità, della nostra perfezione nel mondo, se lo facciamo con spirito di servizio. A cominciare dalla famiglia per entrare nella società e anche nella politica con la massima libertà per tutti».
I soprannumerari a Piacenza sono 4 o 5: «Ma qui abbiamo moltissimi cooperatori ed amici che seguono la nostra attività e vengono ai nostri ritiri». All’incontro è stato invitato il vescovo Gianni Ambrosio. «San Escrivà ha felicemente messo insieme - osserva il presule - l’attività umana, quindi il senso del lavoro, e l’attività di Dio attraverso la grazia».
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Il testo integrale su Libertà di oggi, 5 novembre 2008

Il ricordo di don Benzi, "pretaccio" di strada

Piacenza - L’eredità di don Oreste Benzi viene raccolta e portata avanti ogni giorno a Piacenza e provincia dalle tre comunità Papa Giovanni XXIII° che attualmente stanno ospitando 22 persone come fossero le loro famiglie. La figura del sacerdote fondatore della Papa Giovanni XXIII°, ad un anno dalla morte, è stata ricordata in San Pietro con un convegno, una proiezione e una messa (celebrata in serata dal vescovo Gianni Ambrosio). «È importante portare avanti la missione di don Oreste. Siamo tutti suoi debitori di una crescita grandissima». Gli brillano gli occhi quando ne parla Mauro Carioni, responsabile di una delle case piacentine della comunità. Tocca a lui introdurre gli ospiti, ieri pomeriggio, nella chiesa di San Pietro. «Continuare l’opera di don Oreste è il nostro impegno - ribadisce -. Lui è stato il fondatore e il trascinatore. Oggi è il tempo della comunità, dobbiamo cogliere ciò che ci ha insegnato e portarlo avanti». «Cerchiamo innanzi tutto di dare una famiglia a chi non ce l’ha: è lo slogan di don Oreste - ricorda Carioni -. Ci diceva sempre che Dio ha inventato la famiglia; gli uomini, invece, gli istituti, le case di riposo, eccetera». «La famiglia è il luogo dell’accoglienza - prosegue -, la base sicura sulla quale si possono poi fare tutti gli interventi specialistici. Sentirsi accettati ed accolti per quello che si è, è la base per accogliere le persone, anche quelle più in difficoltà. Notiamo un grande aumento di disagio giovanile, delle ragazze di strada. C’è un lavoro stupendo che fa don Giuseppe Sbuttoni sui marciapiedi: quando vengono da noi cercano il recupero».
Assente l’ex direttore della Gazzetta dello sport, Candido Cannavò, per un malore. Ha scritto “Pretacci, storie di uomini che portano il Vangelo sul marciapiedi”, citato dalla moderatrice dell’incontro, Rosanna Montani.
C’è don Nicolò Anselmi, responsabile del Servizio nazionale per la pastorale giovanile della Conferenza episcopale italiana. «Don Benzi non ha avuto paura di mischiarsi con chiunque - dice -, di andare incontro ai giovani e ai meno giovani che sono in difficoltà con la semplicità, con lo spirito di accoglienza che lo contraddistingueva». «Ha trascinato la Chiesa anche nei luoghi più difficili - continua -. È stato un grande esempio. Oggi c’è la tentazione di ritirarsi in privato, di far fronte da soli ai nostri personali problemi, anche da parte delle nostre comunità cristiane. Don Oreste, invece, ha sempre invitato ad andare incontro, ad uscire là dove c’è bisogno». C’è Edoardo Martinelli, allievo di don Lorenzo Milani a Barbiana, dal 1964 al 1967 (dai 14 ai 18 anni): «Don Milani e Don Benzi: entrambi sono due mistici mancati. La dedizione, il coraggio, la coerenza sono gli elementi comuni; per il resto sono figure completamente diverse: il priore di Barbiana dà la precedenza alla scuola; don Benzi invece attraversa tutti i vicoli tortuosi della vita, anche quelli più marginali, dove ci si infanga».
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Il testo su Libertà del 4 novembre 2008