mercoledì 4 marzo 2009

Don Enzo e il kibbutz di Nomadelfia

Piacenza - La scomparsa di don Enzo Berté (al secolo don Luigi), 96 anni, apostolo di Nomadelfia e successore di don Zeno, ha lasciato orfani i tanti piacentini che ne hanno sentito parlare e i pochi che, avendolo conosciuto tanti anni fa, hanno la fortuna oggi di esserci ancora e di poter raccontare quell’incontro. Tra costoro c’è l’intera famiglia Gelmini, padre di Bergamo, madre di Modena, trapiantata a Piacenza nei primi anni Cinquanta e oggi, a tutti gli effetti, piacentini d’adozione. Tre dei quattro figli (Roberto, Gemma e Agnese) sono nati nelle case di Nomadelfia. Il quarto, Marco - forse il più conosciuto a Piacenza per essere stato assessore comunale nella prima amministrazione Reggi - pur non essendo venuto al mondo nella città della fraternità, ne ha colto i principi sin da piccolo. Già perché i genitori, Cesare e Ave, sono stati tra i fondatori laici di Nomadelfia, dove sono rimasti dal ’47 al ’57; nell’ex campo di concentramento di Fossoli, trasformato in cittadella della fraternità, si sono conosciuti e, nel 1951, sposati.
«Don Enzo per me non è stato solo un prete - ricorda commosso Cesare Gelmini - ma un prete fratello. È come se se ne fosse andato un componente della mia famiglia». Era stato lo stesso don Enzo a consigliare ai signori Gelmini di lasciare Nomadelfia per una vita più sicura dove avrebbero comunque potuto testimoniare i valori della città al resto del mondo. Gelmini arrivò a Piacenza dove trovò lavoro al Collegio Sant’Isidoro e, successivamente, all’Università Cattolica. Don Enzo, ogni qualvolta si trovava vicino a Piacenza, lo andava a trovare fermandosi a casa. «Nei primi anni Settanta - ricorda Cesare - venne con don Zeno. Si fermarono una settimana e visitarono la Cattolica e il Collegio Alberoni, dove don Enzo si era formato. Poi lo portai a Riva di Pontedellolio, nel cui cimitero riposano i suoi parenti. Il suo legame con Piacenza era molto stretto e molto sentito». «Che cosa mi ha lasciato? Lo spirito di vivere in una comunità di ispirazione cristiana, non una comunità religiosa ma di cristiani che creano una nuova società dove si accettano i figli di tutti, si vive tutti insieme e nessuno possiede nulla, in uno spirito di fraternità assoluta, come quello degli Atti degli Apostoli». Il figlio Marco ha scelto la strada della politica ed è a Roma in veste di coordinatore della segreteria dell’ex ministro Paolo Ferrero, segretario di Rifondazione Comunista: «Ricordo Nomadelfia, le sue fattorie dove ogni famiglia aveva decine di bambini e i figli erano i figli di tutti. Giravamo in mezzo alle tartarughe, quando si pranzava la tv era vietata, si viveva la vera vita comunitaria. Quando sono andato in Palestina ho visto la stessa cosa nel kibbutz».
fri


Il testo integrale su Libertà del 4 marzo 2009

2 commenti:

Anonimo ha detto...

sara' li' che e' diventato comunista?

don Nicola ha detto...

ma perché speculare sulla morte del successore di don Zeno tirando in ballo i comunisti? Un commento da persona intelligente non sarebbe stato meglio?
don Nicola Cateni