domenica 28 ottobre 2007

Giuseppe De Carli racconta il Giubileo del Duemila



Intervista a Giuseppe De Carli, vaticanista del Tg1


"E' stato un trionfo di confessioni"


Il vaticanista De Carli racconta le sue dirette sul Giubileo




da Libertà, 12 gennaio 2001




Trecentosettantanove giorni di Giubileo, 57 dirette televisive, oltre 300 ore di trasmissione. Giuseppe De Carli è uno dei testimoni privilegiati di questo Anno Santo appena terminato. Da quattordici anni giornalista vaticanista del Tg1, responsabile dell'informazione religiosa del primo canale Rai, ha seguito passo dopo passo il grande Giubileo del Duemila raccontandolo alla gente perché si sapesse che cosa stava veramente accadendo, quale nuovo mattone si stava aggiungendo al palazzo della storia. Milanese di nascita, De Carli è di origine piacentina essendo il padre nato all'ombra del Gotico. Conserva ancora in città ed a Castelvetro Piacentino diversi parenti e l'altra sera è stato ospite del circolo “Il Carroccio”, dove ha presentato il suo “Breviario del nuovo millennio. Pensieri su un mondo che verrà”, edito dalla San Paolo, in cui ha raccolto le interviste andate in onda per tre anni, nell'edizione delle 13,30 del Tg1 del sabato, sotto la rubrica “Le parole del millennio”. Si è trattato di una sorta di preparazione a quell'Anno Santo che De Carli ha appena finito di raccontare. «Dal punto di vista umano, il Giubileo è stata un'avventura incredibile. Immaginavo la fatica, ma non l'intensità di ciò che ho provato. E' stato come entrare in un tunnel di emozioni da cui sono uscito solo il 7 gennaio con l'Angelus del Papa e l'ultima diretta. Da giornalista ho cercato di fermarmi sulla soglia di queste emozioni. Io, mi sono sempre detto, parlo a chi crede come a chi non crede. Durante le dirette qualche volta però mi è venuta la pelle d'oca». - Ad esempio? «Quando il Papa è entrato nel Santo Sepolcro; quando ha messo il biglietto con le richieste di perdono tra le pietre del muro del pianto, quando al Sinai ha cominciato a parlare di Mosè; quando a Tor Vergata ha invitato i giovani ad essere le “sentinelle dell'alba del millennio”. Quando avevo visto i primi programmi di questo Anno Santo li avevo considerati una sorta di parata di Giubilei particolari in contrasto con quello che doveva essere lo spirito di questo evento. Devo dire che sono stato smentito dai fatti e mi sono ricreduto». - Perché le scelte di una Chiesa considerate da molti anacronistiche si sono invece dimostrate azzeccate? «Innanzitutto perché la Chiesa ha dimostrato di parlare alle singole categorie, di avere qualcosa da dire ai politici come agli agricoltori come agli operatori ecologici, ai giovani come agli anziani, ai giornalisti come agli scienziati, ai laici come ai preti ed ai vescovi». - E poi? «E poi c'è tutto un aspetto del Giubileo che i media non hanno messo bene in evidenza. Non è l'acquisto delle indulgenze quello centrale, ma la riscoperta del sacramento della confessione. Nessuno di noi giornalisti se l'era immaginato all'inizio. Due milioni di giovani sono andati a Roma e mezzo milione si è confessato. Hanno dovuto triplicare il numero delle panche nella basilica vaticana, quintuplicare quello delle altre basiliche patriarcali. Ho visto preti stramazzare al suolo, svenuti, per la fatica di confessare senza sosta». - Che ruolo ha avuto la persona di Carol Woityla in questo Giubileo? «I grandi gesti del Papa sono stati fondamentali: il viaggio in Terra Santa, il culmine di tutto un Pontificato; la Giornata del perdono il 12 marzo. E' stato, quest'ultimo, l'atto più rivoluzionario di un Papa da duemila anni a questa parte. Quando mai un'istituzione, l'unica che ha attraversato tutta la storia da Cristo ad oggi, chiede perdono delle colpe commesse dai suoi figli, magari in nome di Cristo?». - Il Giubileo ha raggiunto il suo obiettivo? «Non lo so. La cosa certa è che ha dimostrato innanzi tutto la vitalità della Chiesa; ha dimostrato che in Occidente c'è un'istituzione più dinamica di tutte le altre. La politica non attrae più, la Chiesa invece aggrega; e su valori di fondo. Uno può dire che non è vero. La risposta è che c'è un Papa, vecchio, malandato, scosso dal morbo di Parkinson, che riesce ad attirare due milioni di giovani a Tor Vergata». - E il dialogo con le altre religioni? Questo Giubileo era partito bene. Poi, però ... «E' forse questo il lato con più ombre. Dopo il gesto del Papa con l'ebraismo e con l'Islam sulla spianata delle moschee, la visita ai campi profughi della Palestina, il muro del Pianto, le cose si sono un po' arenate. Ha contribuito il documento del cardinale Ratzinger, “Dominus Iesus”, sulla unicità della salvezza nella Chiesa cattolica. Ha irritato molto le altre religioni. Nella sostanza ha detto le cose del Concilio, ma forse la forma andava modificata. Nella lettera apostolica “Novo in eunte millennio”, che Woityla ha firmato il 6 di gennaio, c'è tutta una parte in cui si parla dell'impegno ecumenico di questo Papa quasi ottantenne che afferma che il futuro della chiesa sta nel dialogo con le altre culture religiose». - Non era facile riuscire a comunicare il contenuto di questo Giubileo. Che giudizio dai su quello che è passato alla gente? «E' stato un Giubileo che è riuscito a comunicare. Certo, ci sono state delle difficoltà. Non tutti bucano lo schermo come il cardinale Tonini che con quel suo volo scavato sembra quasi uno scoiattolo e viene ascoltato perché è credibile. Però la Chiesa ha un altro grandissimo comunicatore: il Papa. Che non rispettando le regole della comunicazione riesce a farsi capire da tutti, anche grazie alla sua corporeità malandata. La gente si identifica in questo Papa sofferente, tenace, determinato, e lo tocca come se fosse una reliquia. Io, in questi anni, ho avuto l'impressione di fare la cronaca non dell'attività di un Papa ma di quella di un santo». - Questo Papa non arriverà a 120 anni come Mosè. Chi sarà il suo successore? «Siamo a pochi giorni dal prossimo concistoro e Woityla, probabilmente domenica, rivelerà i nomi dei nuovi cardinali. In quel momento avremo il quadro completo di come sarà composto il sacro collegio che andrà al futuro conclave. Se, come pare, la grande maggioranza sarà di cardinali non italiani, saremo probabilmente avviati verso un nuovo papa latino-americano. Teniamo infatti conto che la metà dei cattolici del mondo si trovano in America Latina. Come la scelta profetica cadde su di un pontefice slavo nel momento di massimo attrito della Guerra Fredda, la prossima mossa potrebbe essere quella di andare verso un nuovo continente, diverso dall'Europa».


Federico Frighi

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