domenica 28 ottobre 2007

Alceste Santini su Giovanni Paolo II

«Nessun gesto di mea culpa supererà mai
quella carezza al muro del pianto»

Giovanni Paolo II raccontato da Alceste Santini.Il vaticanista dell’Unità venuto a Castelsangiovanni per presentare il suo ultimo libro sul pontefice

da Libertà, 4 marzo 2001

PIACENZA - E’ un Papa che comunica
attraverso dei segni, dei
gesti simbolici che hanno
poi trovato la loro summa
nel Giubileo del 2000».
Non era mai successo che
un pontefice parlasse direttamente
ai giornalisti, tenesse
improvvisate conferenze
stampa, abbracciasse Madre
Teresa di Calcutta e la rivolgesse
verso telecamere e fotografi
per portare la sua immagine
al mondo intero. Papa
Wojtyla è anche questo. A raccontarlo
è Alceste Santini,
«vaticanista» de l’Unità per
quasi quarant’anni, saggista,
collaboratore di riviste italiane
e straniere, con ben 92
viaggi papali all’attivo, tutti
con Giovanni Paolo II. La
«penna santa» del quotidiano
fondato da Antonio Gramsci
è stata ospite l’altra sera del
Centro culturale di Castelsangiovanni,
in un incontro
presentato dall’assessore alla
cultura, Alberto Caravaggi.
La presenza castellana di
Santini era legata sia alla presentazione
del suo nuovo libro
- “Con Giovanni Paolo II
per le vie del Mondo. La nuova
geografia del papato” (edizioni
Rubbetino) - sia alla veste
di consulente in vista della
creazione del museo dedicato
al monsignor Agostino
Casaroli.
Dell’ex segretario di Stato di
papa Wojtyla, Santini era amico
e consigliere e, nel 1993,
al cardinale piacentino, aveva
dedicato un libro intitolato
“Agostino Casaroli, uomo del
dialogo”.
Il gesto, dicevamo, più delle
parole, lo strumento principale
del Papa comunicatore.
«Gesti che gli hanno consentito
di mettere in discussione
persino il primato del vescovo
di Roma (il pontefice appunto,
ndr.), di sviluppare il
dialogo con ebrei, cristiani,
musulmani, quali figli di Abramo,
e di estenderlo alle
grandi religioni non cristiane,
induismo, buddismo, taoismo,
scintoismo». Santini ha
ricordato i gesti del perdono:
«L’Africa, l’isola di Gorè,
quando guardò l’oceano per
sette interminabili minuti, in
silenzio, e poi chiese perdono
per lo schiavismo; ma anche
davanti alla porta di Brandeburgo,
presente il cancelliere
Khol. “Putroppo”, disse, “sono
stati pochi ad opporsi al nazismo,
alla più grande follia
del XX secolo”. Un’altra volta
chiese perdono ad Auschwitz
che elevò a Golgota del mondo
contemporaneo; andò a pregare
sulla tomba di Lutero;
abbracciò il metalmeccanico
brasiliano in uno stadio circondato
dalla polizia».
L’elenco potrebbe continuare
a lungo. Santini, testimone,
di questi piccoli ma storici gesti
arriva al 12 marzo del 2000:
«In San Pietro pronunciò il
mea culpa della Chiesa; per le
crociate, l’inquisizione, l’antigiudaismo,
l’antisemitismo,
il caso Galilei, con una contestuale
revisione autocritica
della storia della Chiesa nei
due millenni trascorsi».
Un mea culpa che arriva da
lontano e che, come evidenzia
Santini, trova la sua consacrazione
poco dopo: «Il Papa
che cammina sulla spianata
delle moschee, fermandosi
davanti al muro del Pianto e
mettendo fra quelle pietre
millenarie la dichiarazione di
pentimento per quello che era
stato fatto agli ebrei. A mio
parere è stato questo il momento
più alto del pontificato
di Giovanni Paolo II. Il Papa
potrà ancora andare in tanti
altri posti, ma nessun gesto
supererà mai per importanza
quel biglietto e quella carezza
al muro del pianto».
Federico Frighi

Nessun commento: