domenica 23 settembre 2007

Monari in Albania










Ieri incontro con la comunità cattolica di Jubani,piccolo centro vicino a Scutari,
dove il vescovo di Piacenza ha inaugurato un centro di accoglienza
Monari in Albania nel nome di Scalabrini

Festa nella casa delle suore divenuta punto di riferimento.
Cresima per ottanta albanesi


da Libertà, 11 luglio 1999

JUBANI
- Ogni mattina alle sei Zef il pastore lascia il gregge nel
piazzale ed entra in chiesa. Con tutta la forza che ha, tira le corde
e le campane suonano a festa. Quanto basta per svegliare il villaggio.
Poi esce, raduna le pecore e riprende la sua strada. Inizia
così, ogni giorno dell’anno, la vita a Jubani. Quello di ieri, pur
mantenendo il tradizionale canovaccio, ha fatto segnare sul calendario
qualche cosa di speciale: la visita di un vescovo italiano.
Monsignor Luciano Monari è giunto qui, nel nord dell’Albania,
a 10 chilometri dalla città di Scutari, in questo villaggio di
povere case sparse fra la montagna e il mare, in una piana verde
coltivata a mais, granoturco, angurie ed alberi da frutta.
Sono le uniche risorse del
paese da quando le industrie
del regime comunista hanno
smesso di funzionare ed il vicino
scalo merci ferroviario è
stato abbandonato. Un viaggio
pastorale, quello del vescovo,
per inaugurare la casa che le
suore missionarie scalabriniane
hanno ultimato nel ’97 e dedicato
al Beato Giovanni Battista
Scalabrini. «Un viaggio - aveva
detto il vescovo prima della
partenza - che ha qualche cosa
del pellegrinaggio essendo
un incontro con esperienze di
carità e di fede che ci possono
arricchire».
Uno stuolo di almeno una
ventina di chierichetti ha accolto
monsignor Monari assieme
al parroco locale, don Michelangelo
(un bresciano trapiantato
quaggiù e divenuto segretario
dell’ex vescovo di Scutari),
monsignor Anselmo Galvani,
parroco della cattedrale
di Piacenza, don Giuseppe Basini,
segretario personale del
vescovo, nella grande chiesa ad
un’unica navata dedicata a
Santa Veneranda e recentemente
innalzata di fianco alla
missione delle scalabriniane
grazie ai soldi degli italiani ed
al lavoro degli albanesi. Cinquantacinque
minuti di messa
solenne alle sette del mattino,
fra canti e letture nella lingua
del posto parzialmente tradotta,
hanno aperto questa giornata
così uguale e così diversa
a tante altre per la piccola comunità
in maggioranza cattolica.
In chiesa ci sono venuti in
più di trecento. Le donne vestite
con il costume catonaro, caratteristico
della gente contadina,
e con il riza, copricapo di
origini ottomane.
«Non parlo la vostra lingua -
ha detto monsignor Monari durante
l’omelia - ma capisco una
cosa: che noi e voi siamo una
sola grande comunità unita
dall’amore di Cristo». Piacenza
e Jubani unite come si conviene
ad un gemellaggio, pur
simbolico come questo, che si
rispetti. Grazie alle suore scalabriniane.
La loro casa, realizzata
dai volontari piacentini
assieme ai muratori albanesi,
è divenuta il punto di riferimento
del paese. Le quattro religiose,
suor Federica Gallina,
suor Lina Guzzo, suor Albina
Bianchin e suor Benedetta Salerno,
inviate dalla provincia italiana,
a Jubani sono impegnate
nell’educazione, nella catechesi
e nella promozione di
bambini, giovani e donne nell’ambito
di un progetto in collaborazione
con la Caritas diocesana
di Piacenza-Bobbio e
con il sostegno anche della Caritas
diocesana di Como.
Ieri era la loro festa e di tutta
la congregazione, rappresentata
dalla superiora provinciale
suor Ermelinda Pettenon, dalla
consigliera generale suor
Bruna Birollo e dalla responsabile
del progetto Italia-Albania
suor Assunta Zonta. «An
che se non sono Scalabrini,
nella mia figura di vescovo cerco
di portare la sua santità e il
suo insegnamento», ha detto
monsignor Monari prima del
taglio del nastro e della benedizione
dei locali della missione.
«Eccellenza, le spettava di
diritto l’onore di essere oggi in
Albania per gioire con noi e
per tutto quello che la diocesi
di Piacenza-Bobbio ha saputo
generosamente investire per
offrire a Jubani dei servizi capaci
di aiutare la crescita umana
di questi cari fratelli»,
ha risposto la superiora provinciale.
Oggi, terminata l’emergenza
Kosovo, le suore possono
tornare a dedicarsi quasi
a tempo pieno agli albanesi.
Ottanta sono quelli che il vescovo
Monari fra ieri pomeriggio
e questa mattina ha cresimato
nella piccola chiesa di
Stajka Un’altra cinquantina
quelli che hanno allestito a Jubani
uno spettacolo di musiche
e canti nel nuovo prefabbricato,
ancora in via di completamento,
donato dai piacentini.
Federico Frighi

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