sabato 9 luglio 2011

Ambrosio: ascoltiamo giovani, disoccupati e precari

«Piacenza deve volare alto, come hanno fatto i nostri padri, riconoscendo Sant'Antonino come figura ideale di vita per affermare che al centro della convivenza civile non ci sono successo e ricchezza ma l'amore... Solo così riusciremo a rispondere alle emergenze etiche e sociali dei giovani e del lavoro». Il vescovo Gianni Ambrosio sceglie il pulpito della basilica patronale, sceglie la festa del 4 luglio, per dare una scossa alla città. Per ricordare che ci sono due invocazioni alle quali occorre dare una risposta. Quella dei giovani, «di tutti i nostri giovani, sia quelli originari sia quelli immigrati a Piacenza» con l'urgente bisogno «di un contesto educativo che sappia indicare una meta e dischiudere un orizzonte di speranza e di futuro». Quella di chi ha perso il lavoro e di chi è precario, perchè «anche nella nostra città si registrano gli effetti della crisi economica e delle difficoltà finanziarie di alcune imprese: in particolare incombe il rischio di chiusura o trasferimento di aziende storiche».
Una scossa non urlata quella di Ambrosio e neppure ad alta voce - non è nello stile del vescovo - ma non per questo meno efficace e diretta. Davanti a sè ha una basilica gremita: in prima fila il prefetto Antonino Puglisi, il sindaco Roberto Reggi - all'offertorio porterà il suo decimo cero da sindaco -, il presidente della Provincia Massimo Trespidi e tutte le altre autorità riunite per il santo patrono. Accanto, oltre al parroco don Giuseppe Basini, tre vescovi: Enrico Solmi di Parma, Carlo Mazza di Fidenza e Donal McKeown, ausiliare di Belfast (Irlanda del Nord).
«E' motivo di stupore il fatto che la memoria di questo giovane martire continui ancora oggi, a distanza di 1.700 anni» esordisce il vescovo. Sant'Antonino «non è solo il patrono ma è anche il simbolo della nostra città» ci tiene ad osservare il presule. E' importante, perchè - continua - è «come se Piacenza - la Piacenza del passato e, speriamo, quella di oggi - volesse dire che proprio nella figura di un giovane, di un giovane santo e coraggioso fino al martirio, si esprime al meglio, come ideale, il desiderio dei suoi concittadini, e cioè che al centro della convivenza cittadina ci sia l'amore».
«Celebrando sant'Antonino e riconoscendolo come figura ideale di vita - evidenzia - noi siamo invitati a riaffermare che il cuore della nostra città pulsa non per la ricchezza o per il successo o per il potere ma per quella forza grande che è l'amore. Questa scelta fatta nel passato dai nostri padri ha permesso alla nostra città di volare alto: È una scelta che non può essere dimenticata oggi, perché anche oggi abbiamo bisogno di volare alto, superando le visioni riduttive dell'uomo e della convivenza civile». Tra poco sarà monsignor Ambrosio a consegnare a don Giorgio Bosini l'Antonino d'oro. Un premio azzeccato più che mai. Tanto da divenire quest'anno una sorta di Oscar. Lo dicono i lunghi minuti di applauso con tutta la chiesa in piedi, una standing ovation a tutti gli effetti. Lo fa intendere il vescovo Ambrosio che mette don Giorgio Bosini tra coloro che hanno seguito la testimonianza di Sant'Antonino: «Questo premio, conferito nella memoria del nostro santo patrono, rappresenta per la nostra città e per tutti noi una precisa sollecitazione: ravviviamo le nostre risorse di cuore e di intelligenza, perché le sfide che stanno davanti a noi possono essere affrontate solo con un di più di cuore e di intelligenza». Queste sfide, le più urgenti, sono oggi, come detto il grido dei giovani, dei disoccupati, dei precari.
Dobbiamo rispondere - invita il vescovo - «altrimenti diventa molto facile per i nostri giovani pensare che "la vita sia altrove"» dice citando Bauman. «Così si diffonde, con questo "altrove" sempre sfuggente, una mentalità consumistica e strumentale che arriva ad investire ogni ambito della vita: anche le relazioni più importanti e le esperienze più significative si disperdono in questo agitarsi inquieto di tanti giovani». «L'altra voce che invito ad ascoltare - dice Ambrosio - è quella che proviene da chi vive in situazioni di disoccupazione e di precarietà lavorativa. Anche qui non possiamo essere fatalisti, non possiamo arrenderci gettando la spugna».
Federico Frighi

Libertà 5 /07/2011

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