domenica 14 ottobre 2007

Monari a Brescia, l'omelia di ingresso

Brescia 14 ottobre 2007

Omelia di monsignor Luciano Monari
per il suo ingresso a Brescia

Gesù guarisce dieci lebbrosi; ma di loro uno solo viene definito ‘salvato’. Perché? Dove sta la differenza? Dal punto di vista della guarigione fisica, non c’è nessuna differenza: erano lebbrosi, con gli arti deformi e la carne a brandelli; ora a tutti loro la carne è tornata ‘come la carne di un giovinetto’; sono guariti. Uno dei guariti – un Samaritano, nota Luca – riconosce la guarigione come un dono, torna indietro, loda Dio a gran voce e si getta ai piedi di Gesù per ringraziarlo. Questo fa la differenza: la guarigione fisica diventa salvezza quando è riconosciuta come dono e produce nel cuore la gratitudine. Questo il messaggio chiarissimo del vangelo che vorrei assumere e fare mio.
Mi trovo a vivere senza averlo deciso, o voluto, o meritato. E debbo prendere posizione di fronte alla mia vita; come pensarla? Come un semplice dato o come un vero e proprio dono? Se la vita è solo un dato, le posso dare la forma che voglio. Se la vita è un dono, io sto di fronte a un donatore e la mia vita si sviluppa come una risposta; diventa, nel senso preciso della parola, un’esistenza ‘responsabile’. I doni sono gratuiti, certo; ma sono nello stesso tempo esigenti. Rifiutano uno scambio secondo equivalenza, ma richiedono una risposta di gratitudine. Naaman il Siro è stato guarito dalla lebbra attraverso il ministero del profeta Eliseo; ad Eliseo egli pensa di dare una ricompensa, vorrebbe in qualche modo ‘pagare’ la guarigione ricevuta. Ed Eliseo rifiuta energicamente: quella guarigione è un dono, non una prestazione medica; non può essere pagata come non si può mai pagare la bontà, la benevolenza, l’affetto, l’amore. Chi volesse comperare l’amore, dice il Cantico, mostrerebbe di non aver capito nulla e meriterebbe solo disprezzo. E allora Naaman trova una soluzione ingegnosa: carica due muli con un po’ della terra di Israele e se la porta dietro, quella terra, nella sua patria. Quando sarà il tempo della preghiera, potrà prostrarsi su quella terra e adorare il Dio di Israele dal quale ha ricevuto il dono della guarigione. Non pagherà la guarigione, ma vivrà con riconoscenza alla presenza di Dio.
Fratelli e sorelle carissimi, inizio oggi, nel nome del Signore, il mio servizio episcopale nella Chiesa di Brescia. A questo servizio mi ha chiamato il Papa e ho risposto volentieri, con gioia. Se il Signore mi darà fiato e salute, ho una decina d’anni prima di andare in pensione e vorrei spendere questi anni per il Signore, per Brescia. Chi, che cosa me lo fa fare? Non m’interessa diventare ricco: il Signore mi ha sempre dato il necessario e sono convinto che lo farà anche in futuro. Non m’interessa acquistare potere o fare carriera: sono incatenato a un Signore che è stato umiliato e che venero inchiodato su una croce. Vorrei piuttosto rendere il mio cuore saggio e buono, intessere relazioni umane sane e mature, donare senza pretese agli altri quello che di bello ho ricevuto dal Signore. E’ a questo che m’invita il vangelo di oggi: vivi un’esistenza riconoscente – mi dice – e intona l’inno di lode e di ringraziamento.
Mi chiedo, a volte, perchè questo messaggio della fede faccia così fatica a penetrare in profondità il cuore dell’uomo, nel mio stesso cuore. Perchè nove guariti su dieci non sono tornati indietro a lodare il Signore? Erano così ansiosi di gustare e sfruttare la salute da dimenticare colui che della salute aveva fatto dono? La fede arricchisce la vita perchè la interpreta e la fa vivere come segno dell’amore di un donatore. E non c’è dubbio che essere amati è un valore aggiunto che rende preziose tutte le cose anche quelle più umili. E allora perchè tanta resistenza? Sono forse motivazioni intellettuali quelle che bloccano? C’è forse una dimostrazione scientifica o filosofica che escluda il sì della fede? Non mi sembra: l’analisi, per quanto accurata, di come è fatto e come funziona un orologio non mi può dire se quell’orologio è solo un dato o anche un dono; e la riflessione filosofica può al massimo arrivare a dire che l’orologio può essere un dato se c’è proporzione tra quell’orologio e la mia abilità tecnica (sono così abile nell’arte orologiaria che mi sono fatto io stesso l’orologio) o tra quell’orologio e la mie possibilità economiche (sono ricco e mi sono comprato l’orologio con i miei soldi); e invece probabilmente l’orologio è un dono se non sono capace di farlo da me e non ho le risorse sufficienti per comprarlo. Ma la filosofia si ferma qui; e lascia il posto alla coscienza e alla libertà dell’uomo.
Dunque: il mondo e la vita sono solo un dato o sono anche un dono? Probabilmente inclinerà a riconoscere il dono chi nella sua infanzia ha sperimentato l’amore degli altri (dei genitori, degli amici); e farà più fatica a riconoscere il dono chi avrà avuto esperienze dolorose di solitudine e di abbandono. Ma il cuore dell’uomo è creativo, originale, libero; le esperienze passate lo inclinano ma non lo determinano; a volte, il cuore umano sa generare gioia anche in mezzo alle tribolazioni e sa custodire speranza anche tra le delusioni. Quando il cuore passa dall’apprezzamento della vita al ringraziamento passa dalla salute alla salvezza. Il vangelo vuol farci percorrere questo itinerario a partire dalla conoscenza delle parole e delle opere di Gesù. È come se Dio avesse pensato così: “Ho dato all’uomo il mondo come segno del mio amore; ma so anche che questo mondo non è facile da decifrare e che il maligno farà di tutto perchè l’uomo si appropri delle cose e le viva non come doni di cui essere riconoscenti ma come patrimoni da sfruttare. Debbo dargli un segno inequivocabile, scritto nella storia a caratteri cubitali perché l’uomo lo possa leggere, nonostante tutte le sue miopie.” Per questo ci è stato donato Gesù, perchè tutti i possibili dubbi sull’amore di Dio cedessero di fronte alla rivelazione di colui che ci ama e ha dato la vita per noi. Gesù è passato in mezzo a noi facendo del bene e sanando tutti quelli che stavano sotto il potere del male. Ha amato e ha continuato ad amare anche quando ha incontrato dolorosamente la cattiveria e l’ingiustizia. Un uomo così non lo abbiamo fatto noi; non lo ha prodotto l’evoluzione della specie, non lo ha educato la riflessione filosofica. Un uomo così viene da Dio ed è segno di Dio. Lo ha capito benissimo il Samaritano che, guarito dalla lebbra, torna: ringrazia Gesù e loda Dio a gran voce.
L’inganno che blocca la nostra gratitudine è il timore che il dono leghi il donatario, mentre di fronte al puro dato rimarrei più libero. In superficie le cose stanno così; ma, se andiamo alla radice dell’esperienza umana, ci accorgiamo che è vero esattamente il contrario: vivere al cospetto di Dio donatore libera dalla paura della solitudine, dal bisogno di affermare se stesso, dai ricatti del mondo che dice di essere tutto per me e pretende che io sia tutto per lui. Qui forse tocchiamo quel centro nel quale è interpellata la nostra coscienza. Se vivo di riconoscenza debbo rinunciare a ogni pretesa, debbo donare con libertà, contento anche solo di poter esprimere in questo modo la gioia di essere stato creato, sanato. Ci riuscirò? Inizio il mio ministero a Brescia: se accetto la logica del vangelo, debbo farlo senza pretese: nessuna pretesa verso i preti, nessuna pretesa verso i laici, nessuna pretesa verso le autorità, nessuna pretesa verso i mezzi di comunicazione... puntini di sospensione perchè qui il discorso si allarga all’infinito. Naturalmente, questo non significa che non chiederò nulla a nessuno: dovrò farlo, anche quando mi costerà, proprio per il mio servizio di vescovo. Ma non dovrò avere pretese per me, non dovrò dare spazio ai miei risentimenti, dovrò essere mosso solo dall’amore per le persone e dall’amore per la Chiesa bresciana. Riuscirò? Quando guardo i miei difetti, mi verrebbe da dubitarne; ma confesso che uno stile di vita come questo mi affascina; so che mi renderebbe davvero più uomo, più degno di quella misteriosa parola: a immagine e somiglianza di Dio. E allora, con tutta umiltà lo chiedo al Signore e lo chiedo a voi perchè mi aiutiate, perchè ci aiutiamo a vicenda a vivere una vita senza pretesa alcuna, ripetendo con gioia la parola che abbiamo ascoltato con stupore due domeniche fa: “Siamo servi inutili; abbiamo fatto semplicemente quello che dovevamo fare.”
Da bambini abbiamo imparato le preghiere del mattino. Quando apri gli occhi, ci è stato insegnato, per prima cosa rivolgi il pensiero a Dio che ti ha creato e ringrazia: “Ti adoro, mio Dio, ti amo con tutto il cuore, ti ringrazio di avermi creato, fatto cristiano e conservato in questa notte.” Piccola cosa, questa preghiera, ma preziosa. Preziosa perchè ridimensiona le paure e si affida a un amore più grande. Probabilmente Dio non ha bisogno della nostra lode; ma noi sì. Quando ringraziamo non siamo più soli nella fredda immensità dell’universo, abbiamo un po’ meno paura del futuro, accettiamo la vita come responsabilità, abbiamo un motivo per vivere, ci ricordiamo che il culmine della nostra vita è l’amore e che chi ama ha adempiuto la legge; è tutto.

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