mercoledì 30 gennaio 2008

Ambrosio a Codogno: Ratzinger papa della speranza

«Il Papa con questa enciclica invita noi cristiani a superare insieme ogni paura, anche quella del male ed a vincerlo. Rifuggendo da ogni tentativo individualistico». Così monsignor Gianni Ambrosio ha concluso la sua lezione sulla Spe salvi, l’ultima lettera enciclica di papa Benedetto XVI. Era a Codogno, l’altra sera, nel centro Madre Cabrini, davanti a 150 persone per un incontro programmato sin dallo scorso novembre, prima della sua elezione a vescovo di Piacenza-Bobbio. Chi c’era ha visto un Ambrosio nella sua veste di vescovo-professore attento a farsi comprendere dal vescovo di Lodi, Giuseppe Merisi (nella foto, a sinistra, con Ambrosio), così come dall’ultimo del pubblico sull’ultima sedia della sala. Monsignor Ambrosio ha presentato le tre tematiche fondamentali della Spe Salvi: «La speranza cristiana, la definizione teologica biblica della speranza cristiana (quella maggiormente trascurata dai media); il confronto con le ideologie della modernità; l’escatologia cristiana. Detto in termini giornalistici: che cosa ci sarà dopo». «Questo pontificato si caratterizza nel presentare i volti, i tratti somatici della speranza, il volto di San Pietro o di San Paolo, il volto di Maria, la donna della speranza cristiana - esordisce Ambrosio -. L’enciclica insiste nel collegare strettamente insieme fede e speranza fino ad affermare che “la fede è speranza”, la fede tracima nella speranza e diventa tale». Cita Dante che traduceva poeticamente San Tommaso: «Fede è sostanza di cose sperate ed argomento delle non parventi». «Significa che la speranza ci porta ad affacciarci ad un orizzonte diverso da quello terreno - spiega Ambrosio -, quello dell’eternità, è la stella polare che conduce alla conclusione del pellegrinaggio umano. Che cosa c’è alla conclusione? Il Papa lo indica: il giudizio finale, la resurrezione dei morti, l’inferno, il paradiso, l’amore misericordioso di Dio». Ancora: «Vi sono due interpretazioni sulle quali il Papa si sofferma. La prima è tipica della tradizione protestante dove la fede è convinzione di un futuro che ci è donato da Dio. La seconda si colloca su un versante più oggettivo ed è anche filologicamente la più seria ed argomentata: la fede è già ora esperienza di un qualche cosa che avverrà nella sua pienezza ma che già avviene ora durante il nostro cammino verso la pienezza».
Il secondo aspetto dell’enciclica sottolinea - continua Ambrosio - «il carattere sociale e comunitario della speranza cristiana e fa esplicito riferimento al teologo francese, Henry de Lubac». «Il Papa invita - avverte - tutti noi a fare autocritica del cristianesimo moderno. La salvezza non riguarda solo gli aspetti spirituali, riguarda l’interezza dell’umano che ha bisogno di essere salvato. Insieme è necessaria anche un’autocritica della modernità stessa. Il Papa invita a vedere se non c’è una eterogenesi dei fini, una perversione di certe verità reinterpretate in un certo modo e falsificate. Se davvero questa modernità non crea un deserto, invece di creare un luogo degno degli uomini, se davvero questa modernità è aridità, incapacità di comunicazione. A che cosa conduce questa modernità che dimentica le ragioni dell’uomo? Alla disperazione, a non avere più nessuna speranza dentro di noi». La terza grande tematica: la vita eterna. «Non serve tanto parlare di ciò che è oltre la morte quasi vi fosse un altro stato di vita. Se tutto ha origine da Gesù tutto si conclude in lui e per lui». Cita “Il brusio degli angeli” di Peter Berger: «Quando la mamma dice al bimbo che non deve aver paura del buio, la mamma non dice una bugia ma nel suo cuore la mamma stessa ha paura del buio del futuro, dell’ingiustizia; tuttavia proprio perché sa che deve proteggere il proprio piccolo infonde la speranza nel suo cuore». E aggiunge: «Insieme, la mamma e il bimbo hanno la speranza e superano anche la paura del buio».
Federico Frighi

da Libertà, 30 gennaio 2008

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