sabato 5 luglio 2008

S.Antonino 2008, Dina Bergamini: l'entusiamo di essere insegnanti

Piacenza - Prima bacia l’anello del vescovo Ambrosio in segno di deferenza e ossequio, poi si lascia andare e gli dà due baci sulle guance, come ad un vecchio amico. La professoressa Dina Bergamini, Antonino d’oro 2008, è un fiume in piena e strappa applausi a scena aperta. Il primo quando dice che i due titoli per i quali vorrebbe essere ricordata non sono tanto quelli di “donna, madre ed educatrice” bensì quelli «di maestra e di montanara». Il secondo quando ricorda di essere la prima premiata dal vescovo Gianni Ambrosio. Inizia con la commozione. Monsignor Gabriele Zancani, dalla carrozzella passa la medaglia d’oro al vescovo; il vescovo la consegna alla professoressa. Al suo fianco c’è don Franco Capelli, morfassino e parroco dell’Antonino d’oro (alla Besurica). I flash dei fotografi impazzano ed illuminano la direttrice scolastica in pensione. Dina Bergamini prende la parola con un groppo alla gola. Passa subito. Cita padre Ravasi quando definisce l’uomo “un mosaico in cui rientrano tanti tasselli” e ricorda i suoi, di tasselli: Grondone, «il mio piccolo paese dove ho imparato a condividere, ad apprezzare il poco», la sua scuola, i suoi ragazzi, i tanti alunni, da quelli di Grondone (anche il vescovo Antonio Lanfranchi fu un suo allievo in prima elementare) a quelli della colonia pontificia di Chiavari, fino a quelli della Valnure e della Valtrebbia. «Li ho amati molto tutti quanti - dice - e sono rimasta per tutti una maestra». Spiega che cosa vuol dire fare l’insegnante: «Significa l’entusiasmo della vita, la gioia di entrare ogni mattina in un’aula, di specchiarsi negli occhi dei propri alunni per misurare la nostra responsabilità di coerenza verso di loro». La professoressa Bergamini, laureata in pedagogia a Parma, ha insegnato per oltre 40 anni in Valnure, prima come maestra con una pluriclasse di 28 bambini (a Grondone), poi come direttrice didattica, sempre a Ferriere, fino alla pensione nel 1994. Ricorda la parrocchia della Besurica; ringrazia il figlio Gianni, Rita e la zia ultranovantenne presenti ieri in basilica. Ringrazia le sue maestre: «Siete voi che mi avete sostenuta ed insieme a me avete compiuto la sfida dell’educazione»; tutti i sacerdoti che, accettando di rimanere in montagna, «di suonare una campana e distribuire l’eucarestia dimostrano che la fede è un valore anche in quelle piccole comunità in cui ci si ci può dimenticare». «Quando mi è stata comunicata la notizia di questo riconoscimento - confessa - ho pensato se potevo essere la degna rappresentante di un mondo più grande delle mie montagne. Ho riflettuto e sono giunta alla conclusione che quasi tutte le maestre nominate in ruolo hanno compiuto il periodo di prova a Ferriere; sono arrivate piangendo e sono partite piangendo, per la nostalgia di lasciare quel posto. Così sono arrivata, indirettamente, anche in molte scuole piacentine. In più il coltivare una propria identità forte di paese, di religione, di cultura, di scuola, significa prima di tutto arricchire un’identità che avrà qualche cosa da scambiare ricevendo e donando continuamente».

Il testo integrale su Libertà di oggi, 5 luglio 2008

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