mercoledì 9 novembre 2011

Morti e santi, una festa del focolare

Bella l'omelia del vescovo Ambrosio lo scorso primo novembre al cimitero urbano. Pubblichiamo solo ora l'articolo con colpevole ritardo. I propri cari che non ci sono più, quelli che ci sono ancora su questa terra, i santi, tutti uniti attorno ad una sorta di focolare domestico. E' una riflessione che dà forza e che non ci fa sentire soli anche se a volte così ci pare di essere.

Una grande festa di famiglia: i santi, i defunti, le preghiere di chi è su questa terra. Una festa intima e di speranza, perchè la morte non è la parola fine. E' il vescovo Gianni Ambrosio a spiegare nella messa di Ognissanti al cimitero urbano il significato delle celebrazioni del primo e 2 novembre.
Una messa celebrata davanti al Famedio, nel cuore del cimitero urbano, con sacerdoti, diaconi, religiose e tanti piacentini che si sono fermati nell'insolito tepore di una giornata autunnale. Assieme al vescovo ci sono il parroco del Capitolo, don Giuseppe Sbuttoni, quello di Sant'Anna, don Luigi Fornari, di San Paolo, monsignor Bruno Perazzoli, don Giuseppe Formaleoni e quattro diaconi, tra i quali Sergio Fossati e Cesare Scita reggenti la cappellania del cimitero urbano. In prima fila, a rappresentare il Comune di Piacenza, il vice sindaco Francesco Cacciatore in fascia tricolore. Tra le colonne del Famedio, ad animare la celebrazione, i ragazzi del coro della parrocchia di Santa Maria del Suffragio, la chiesa del Capitolo.
«Quella di oggi è come una grande festa di famiglia - dice il vescovo -, i nostri fratelli e le nostre sorelle che ci accolgono nella pienezza della vita e nell'amore di Dio, la porta del cielo si è aperta per loro. Commemorando i defunti noi ricordiamo i nostri familiari, insieme alla preghiera nel cimitero della nostra città».
«La parola cimitero significa luogo del riposo, luogo del sonno - evidenzia Ambrosio - un termine scelto dai cristiani per indicare coloro che riposano ma che attendono di essere svegliati in attesa appunto della chiamata della vita eterna. I cristiani non hanno voluto utilizzare il termine necropoli, la città dei morti. Hanno scelto una parola che richiamasse il sonno e l'attesa, dunque manifestasse la fede nella vita e nella risurrezione, la speranza per la pienezza della vita».
Il vescovo sottolinea come sia significativo «il fatto di celebrare insieme la festa dei Santi e di commemorare i defunti. Da questo luogo del sonno e dell'attesa siamo invitati ad innalzare lo sguardo verso il cielo, dove coloro che ci hanno preceduti finalmente hanno trovato il volto del Signore». «La nostra visita al cimitero - continua il vescovo - la nostra preghiera si carica di intensità e affetto, diviene espressione di speranza». «Ogni anno in questa celebrazione abbiamo qualcuno in più per cui pregare - ammette Ambrosio nella sua omelia trasmessa in tutti i reparti dagli altoparlanti dell'impianto interno - per alcuni i genitori, per altri i fratelli, lo sposo, la sposa, i figli; la morte è sempre un evento che turba e colpisce, ma non è sempre oscurità o tenebra e soprattutto non è l'ultima parola».
Torna il concetto della festa di famiglia: «Nella nostra preghiera noi ci sentiamo misteriosamente uniti, ed è questo il senso della festa familiare, ai fratelli che chiamiamo santi perchè già partecipi della vita di Dio, ai fratelli che ci hanno lasciato e che attendono la visione piena del volto di Dio». Relazioni senza le quali il cimitero sì rischierebbe di rimanere un'arida necropoli e queste visite novembrine aride tradizioni popolate solo di ricordi, importanti, ma non rivolti verso il cielo.
«Nella nostra vita quotidiana rischiamo di rimanere chiusi in noi stessi - osserva infine il vescovo - senza uno sguardo ampio, senza questa prospettiva sul nostro futuro. L'apostolo Giovanni dice che già fin da ora siamo figli di Dio e da lui siamo benedetti e il suo amore impedisce che la morte abbia l'ultima parola. Il nostro è un pellegrinaggio diretto verso il volto di Dio».
Federico Frighi


02/11/2011 Libertà

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