martedì 27 dicembre 2011

Ambrosio: l'uomo non si rinchiuda nella solitudine

(Is 52, 7-10; Eb 1, 1-6;Gv 1, 1-18)
1. “E il Verbo si fece carne” (Gv 1, 14). Con queste parole, collocate al centro del primo capitolo del suo Vangelo, il cosiddetto prologo, l’evangelista san Giovanni ci introduce nel mistero del Natale, la festa dell’Incarnazione. Il fatto decisivo della storia umana è presentato con questo sobrio annuncio: “E il Verbo si fece carne”. Nella contemplazione del mistero di Dio e dell’uomo con cui Giovanni apre il suo Vangelo, vengono richiamate le prime parole del libro della Genesi: Dio si rivela nella sua grande opera, la creazione del mondo e soprattutto dell’uomo. Questo è il prologo assoluto della storia che è storia di salvezza fin dall’inizio, perché fondata su Dio che si rivela e si dona: Egli è all’origine della vita e pone il suo sigillo creatore sull’uomo e sulla donna, fatti “a sua immagine” e chiamati a vivere nella sua amicizia. Ora la lunga storia della salvezza arriva al suo culmine. Dopo aver parlato in vari modi per mezzo dei profeti, come ricorda la lettera agli Ebrei, ora Dio “ha parlato a noi per mezzo del Figlio” (Eb 1, 2): egli nasce da una donna e pone la sua tenda tra noi. Con parole che richiamano la normalità dell’esperienza umana del nascere, il Verbo eterno, che “era, in principio, presso Dio”, assume la nostra natura umana. Egli che è luce e vita, viene alla luce e alla vita su questa nostra terra.
2. “Veniva nel mondo la luce vera, (…) eppure il mondo non lo ha riconosciuto. Venne ne fra i suoi, e i suoi non l’hanno accolto” (Gv1,11). Anche in questo caso l’evangelista Giovanni è scarno ma molto efficace nel descrivere il dramma dell’umanità. Già a Betlemme Gesù nasce in una stalla perché nell’albergo non c’è posto per lui. Poi è il suo popolo, preparato dalla predicazione profetica, a non accogliere il Verbo di Dio. Infine è l’intera umanità che attende la Parola ma è poca disposta ad ascoltarla.
Nel profondo del cuore l’uomo cerca Dio e attende la sua benevolenza, la sua vicinanza, il suo amore. Ma quando arriva il momento, quando Dio si manifesta e viene ad abitare tra la sua gente, non c’è posto per Lui. Tutto lo spazio e tutto il tempo sono per altre cose, sono per le proprie cose: non rimane nulla per Dio.
Forse l’uomo del terzo millennio, l’uomo del nostro Occidente, ha pensato di fare un passo in più: rinunciare persino a ogni attesa e costruire un mondo in cui Dio è superfluo. Tanto più di un Dio che si china su di noi e vuole manifestarci il suo amore e donarci la sua salvezza. Questo è il dramma dell’uomo, in particolare dell’uomo di oggi che arriva a rinchiudersi nella sua solitudine, nel suo ristretto orizzonte, nel buio della sua stanza e del suo cuore. Non è questa – lo sappiamo e lo sperimentiamo ogni giorno – la strada della vita e della luce.

3. “A quanti però lo hanno accolto ha dato potere di diventare figli di Dio” (Gv 1,12). Cari fratelli, riconosciamo la grazia che proviene dall’accogliere Cristo: con Lui e grazie a Lui diventiamo figli di Dio e possiamo vivere come suoi figli. Per questo Cristo è venuto e questo è il senso ultimo della nostra storia umana: diventare in Cristo figli di Dio.
Celebriamo allora la sua nascita, ma riconosciamo che nell’accogliere Lui, noi festeggiamo anche il nostro natale, la nostra nascita come figli di Dio, partecipiamo della vita stessa di Cristo che ha in sé la vita e la luce. Accogliere è il grande verbo della fede cristiana, è il verbo che genera la vita vera, abitata dalla presenza in noi di Colui che è la vita.
Nel Credo professiamo la fede con queste parole: “Per noi uomini e per la nostra salvezza discese dal cielo, per opera dello Spirito Santo si è incarnato nel seno della Vergine Maria e si è fatto uomo”. L’incarnazione è “per noi uomini e per la nostra salvezza”, per riconciliarci con Dio e farci conoscere la sua benevolenza di Padre, per ridonarci la gioia dell’autentico progetto di umanità che ci conduce a diventare “partecipi della natura divina” (2 Pt 1,4).
La gioia del Natale è destinata a tutto il popolo: “Vi annunzio una grande gioia, che sarà di tutto il popolo” (Lc 2, 10). Tutti noi siamo i destinatari della benevolenza del nostro Dio, tutti abbiamo bisogno di luce e di speranza, tutti dobbiamo poter confidare nell’amore di un Dio che è Padre che ci ama. Sono tante le persone, vicine e lontane, che vengono in mente in quanto più bisognose dell’annuncio natalizio: penso a chi fatica e soffre, a chi ha perso il lavoro, ha chi non ha più fiducia, ha chi si è lasciato ingannare dalle cose che luccicano, a chi è solo e disperato. Preghiamo perché la nascita di Gesù Cristo possa portare a tutti la gioia della vita dei figli di Dio, la gioia di una vita nuova, una vita che dalla fede attinge la forza e l’entusiasmo. Preghiamo perché ogni persona che ha accolto e riconosciuto Gesù Cristo, sappia offrire a ogni uomo che incontra ragioni per vivere e per sperare. Amen.

+Gianni Ambrosio, vescovo

Messa di Natale 2011

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