venerdì 16 marzo 2012

Esmeralda, quando la violenza entra nei cuori

«Una tragedia frutto di un amore egoistico, una tragedia che ha segnato la coscienza di tutti. Noi, come comunità, intendiamo rinnovare il nostro impegno comune perchè la vita sia sempre rispettata in ogni modo, senza distinzione alcuna». Lo scalabriniano padre Gianmario Maffioletti ha un compito difficile nella chiesetta di San Carlo, la "bombonera" dei "latinos". Davanti ha quasi mille persone, molte rimaste fuori sul sagrato. La comunità ecuadoriana di Piacenza che piange la sua Esmeralda. L'omicidio passionale di lunedì mattina in via Calciati è ancora negli occhi e nei cuori.
Padre Mario, in lingua spagnola, si rivolge proprio a quei cuori. «Noi credenti, come credente era Esmeralda, devota alla Vergine del Cisne, preghiamo per la conversione dei nostri cuori, per vincere, con l'amore autentico, ogni forma di egoismo. Preghiamo il nostro Dio, per intercessione della Vergine del Cisne, che doni ai familiari di Esmeralda la forza della fede che alimenta la speranza positiva nel futuro». In prima fila ci sono Lorena, la sorella di Esmeralda, il fratello Jorge, arrivato solo ieri dalla Spagna, poco più in là la figlia sedicenne, che, a fine celebrazione, si sentirà male, vittima di un'emozione troppo forte da trattenere. Mamma non c'è. La bara con la salma è rimasta nella camera mortuaria perchè il magistrato deve ancora dare il nulla osta alla sepoltura.
Sull'altare c'è una foto di Esmeralda, con una camicetta a quadretti lilla, sorridente come era sempre e come qui la vogliono ricordare. Ma anche quella di un giovane, sullo sfondo di una nevicata. Un giovane che non c'è più e che è stato ucciso sabato in Ecuador in un atto violento. Aveva 23 anni e i suoi parenti sono qui, a Piacenza. «Piacenza e l'Ecuador sono uniti in una violenza che non conosce confini» annota padre Maffioletti.
Sono in tanti nel piccolo tempio di via Torta. Diversi italiani, amici della comunità ecuadoriana. In fondo alla chiesa, in disparte, anche l'assessore comunale Paolo Dosi con la moglie. Una presenza a titolo personale ma che evidenzia la vicinanza delle istituzioni alla comunità ecuadoriana di Piacenza.
«La nostra presenza qui, così numerosa, dà forza a noi che abbiamo vissuto e che stiamo vivendo questa tragedia» continua lo scalabriniano nella sua omelia. Al fianco, oltre al superiore degli Scalabriniani, padre Gaetano Parolin e al confratello padre Gelmino Metrini, il vicario generale monsignor Giuseppe Illica e il parroco di San Francesco, don Giuseppe Frazzani.
«A nome del vescovo Gianni Ambrosio e della Chiesa piacentina - saluta, in italiano, il vicario generale - vi porgo la nostra solidarietà in questo momento di sofferenza. Vorrei assicurarvi che noi non abbiamo dubbi nell'accogliervi. Forse in giro trovate tanta diffidenza, ma vorrei garantirvi che non è la diffidenza della Chiesa, la Chiesa vi accoglie senza se e senza ma. Il dubbio è eventualmente il nostro peccato, la nostra incapacità di amarvi come vorremmo».
Cita le letture del giorno quando evidenzia che i «comandamenti sono stati dati al popolo di Dio per camminare insieme e vivere bene sotto l'ombra di Dio. Per vivere non momenti di sopraffazione o di violenza ma di pace». Un passaggio difficile il pensiero anche per l'assassino di Esmeralda. «Vorrei che pregassimo tutti - auspica il vicario generale - per il corpo di Esmeralda e anche di coloui che l'ha uccisa e si è ucciso, che pensassimo al corpo che risorge. L'ultima parola non ce l'ha la violenza e nemmeno la morte. Noi abbiamo la possibilità di accogliere la sfida di Gesù risorto dopo tre giorni. Come abbiamo amore per il corpo di Gesù donato per noi, così possiamo riconoscere la grandezza e il valore di ogni persona che incontriamo, anche fuori da questa chiesa».
Infine un pensiero al momento difficile di oggi, che sta inducendo diversi migranti ad abbandonare il loro sogno italiano e piacentino in particolare. «Le difficoltà economiche di questo momento non vi scoraggino e non ci scoraggino, perchè le sentiamo tutti - auspica monsignor Illica -, ma ci aiutino a diventare più fratelli, perchè di solito nel dolore e nella sofferenza è così. Non dobbiamo lasciarci spaventare dagli stipendi che si sono abbassati, dal lavoro che si è perso; questo non fa dire a noi di andarvene a casa perchè non c'è lavoro. Rimanete, lotteremo insieme, come abbiamo lottato prima, cercheremo di uscirne insieme, siamo ancora fratelli».
Federico Frighi


12/03/2012 Libertà

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