mercoledì 7 novembre 2007

Vescovo, busta paga da precario

Vescovo, busta paga da precario
Al capo della diocesi vanno 1.308 euro lorde
al massimo dell'anzianità, ai neo sacerdoti 852

da Libertà, 7 novembre 2007

Piacenza - (fed.fri.) Non hanno la tredicesima e gli scatti sono piuttosto parchi. Dopo trent’anni di anzianità arrivano a guadagnare poco più di una commessa di un negozio di periferia: 1.205,65 euro lordi (800 circa netti). È la busta paga che un sacerdote italiano riceve ogni trenta giorni per dodici mensilità. La cifra di partenza è di 852,93 euro lordi, sempre per 12 mesi, che ogni presbitero riceve dal giorno dell’ordinazione dopo i sei anni di seminario. Non ci sono operai, impiegati, quadri o dirigenti. Preti di campagna, di città, curiali, vicari percepiscono tutti il medesimo stipendio. Unica distinzione per “l’amministratore delegato” dell’azienda Chiesa: il vescovo. Nulla a che vedere con i manager strapagati. Il capo della diocesi guadagna quanto un precario. Un vescovo al limite della pensione - dunque intorno ai 70-75 anni - riceve una diaria mensile pari a 1.308,57 euro lorde, sempre per 12 mensilità. Oggi i preti della Chiesa cattolica non ricevono più la “congrua” dallo Stato. L’assegno di congrua rappresentava una erogazione mensile effettuata dallo Stato italiano solo ai parroci, a guisa di stipendio. Si fondava su un riconoscimento del pregiudizio subito dalla Santa Sede a seguito della breccia di Porta Pia, nel 1870, e della conseguente fine del potere temporale papale ed annessione di Roma al regno d’Italia. Fino al 1932 la spesa gravava sul bilancio del Ministero della Giustizia e degli Affari di Culto. Lo stipendio era considerato diritto personalissimo ed aveva natura di assegno alimentare, intrasmissibile agli eredi. Dal 1 luglio 1932, la competenza delle attribuzioni in materia di affari di culto passò al Ministero dell’Interno. I pagamenti venivano effettuati su ruoli di spesa fissa, come avviene ancor oggi per i dipendenti statali, a cura degli Uffici Provinciali del Tesoro. Gli importi erogati non erano molto elevati tanto che spesso venivano stanziate in bilancio delle somme una tantum di integrazione. Per esempio ad un parroco - dal 1925 fino al 1944 - veniva liquidata la somma annua di 3.500 lire, negli anni ’50 l’importo annuo era di poco superiore alle duecentomila lire e nel 1986, ultimo anno di pagamento della Congrua da parte delle Direzioni Provinciali del Tesoro (allora Intendenza di Finanza), gli importi variavano tra gli otto e i dieci milioni di lire annue. Dal 31 dicembre 1986 - data di entrata in vigore dell’articolo 21 della legge del 20 maggio 1985, numero 222 - l’assegno di congrua è stato sostituito, per effetto delle modifiche al concordato nel 1984, con il sistema dell’8 per mille, pagato direttamente alla Santa Sede dall’erario, quale quota del gettito fiscale annuo.Attualmente i fondi per il clero arrivano da stipendi o pensioni proprie (insegnanti di religione), dalla propria parrocchia nella misura di euro 0,0723 per ogni abitante, cioè euro 7,23 ogni cento abitanti, da proventi di gestione dei beni dell’Istituto diocesano per il sostentamento del clero, dalle offerte liberali e deducibili versate dai fedeli e per la parte rimanente dai fondi 8 per mille.

2 commenti:

Claudio ha detto...

Ho letto che i soldi dell'8xmille vanno al vaticano. NON è cosi. I soldi vanno all'ICSC (ISTITUTO CENTRALE SOSTENTAMENTO CLERO), -alla CEI (CONFERENZA EPISCOPALE ITALIANA)cioè a tutti i vescovi d'Italia,- che li passa all'IDSC (ISTITUTO DIOCESANO SOSTENTAMENTO CLERO)che li passa ai sacerdoti in servizio in ogni diocesi su indicazioni del vescovo e dei vescovi di tutta Italia che ogni anno decidono quanto deve essere il SOSTENTAMENTO NON la PAGA: GRAZIE.

Unknown ha detto...

Grazie a te per la precisazione. A mia volta voglio precisare che il termine "paga" è utilizzato in forma giornalistica. Parlare di "sostentamento" è senza dubbio più corretto, tuttavia per farsi comprendere da tutti ritengo sia meglio utilizzare termini più comuni e più vicini alla gente. A presto