domenica 26 ottobre 2008

Don Franceschini in San Savino, una missione nel cuore della città

Piacenza - «Una parrocchia con la vocazione missionaria, che dia l’esempio della vita cristiana tra le genti del mondo». Lo chiede monsignor Giampiero Franceschini ai suoi nuovi fedeli che ieri lo hanno accolto con affetto nella basilica di San Savino, la nuova parrocchia che il sessantanovenne sacerdote si appresta a guidare dopo una vita al servizio degli ultimi: dalle missioni dell’America Latina alla Caritas diocesana. Sotto lo sguardo millenario del crocifisso ligneo che sovrasta l’altare, monsignor Franceschini rinnova le promesse di sacerdozio di fronte al vescovo Gianni Ambrosio e prende possesso della basilica; riceve le chiavi della chiesa, stringe le mani ai parrocchiani in segno di pace, si commuove al lungo applauso. «È con trepidazione che arrivo in mezzo a voi ma anche con serenità e tanta gioia nel cuore» esordisce. «La parola che ha accompagnato i miei quarant’anni di vita sacerdotale - ci tiene ad evidenziare - è sempre stata “disponibilità”». Santa Maria in Torricella, Bardi, otto anni in Brasile, il Ceial con i preti fidei donum in America Latina, di nuovo in Brasile, poi San Rocco di Borgotaro, il Centro missionario, Niviano, la Caritas, monsignor Franceschini in una manciata di minuti passa in rassegna i passaggi fondamentali della sua vita di sacerdote, iniziata con l’ordinazione il primo luglio del 1967. Nessun programma: «Sono qui per camminare con voi». Poi il richiamo forte a San Savino, letto in un ottica più che attuale. Lo spiegherà lo stesso neo parroco. «San Savino era il secondo vescovo di Piacenza in una città non cristiana e non cattolica - osserva -. Era in mezzo alla gente con la sua fede, cercando di dare una testimonianza cristiana. Io sono convinto che la nostra parrocchia abbia proprio la vocazione di essere luce delle genti. Qui le genti sono attorno a noi, nelle nostre case, dobbiamo dare loro la testimonianza di una vita cristiana». Ancora: «Cercheremo di camminare assieme, di meditare la parola di Dio, di pregarla senza lasciare indietro nessuno». Nel territorio della parrocchia - contraddistinto da una forte realtà di immigrati stranieri - tutto ciò ha un significato: «Avere l’attenzione alla storia, agli avvenimenti, alle persone che stanno attorno a noi. Cercando di essere amici, amici di tutti. Dio non è solo padre dei cristiani, ma padre di tutti e chiede a noi di amarci nello stesso modo».
fri

Il testo integrale su Libertà di oggi 26 ottobre 2008

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