domenica 15 febbraio 2009

Primo anno di episcopato, il grazie di Ambrosio ma le istituzioni snobbano l'evento

Diocesi di Piacenza-Bobbio
Ufficio stampa



Omelia del vescovo mons. Gianni Ambrosio pronunciata oggi pomeriggio, 15 febbraio, in cattedrale, durante la Messa del primo anniversario di episcopato



6ª DOMENICA DEL TEMPO ORDINARIO
(Levitico 13, 1-2.44-46; 1Corinzi 10,31 – 11,1; Marco 1, 40-45)

Carissimi confratelli nel sacerdozio, carissimi fedeli,

fissiamo bene il nostro sguardo sul gesto che è al centro del brano del Vangelo di questa domenica. Gesù si avvicina a un lebbroso, lo tocca, stabilisce con lui una relazione. Sappiamo che il gesto di Gesù è inaccettabile da tutto il contesto sociale e religioso. Nell’antico Oriente – e non solo – la condanna sociale dei malati di lebbra era molto drastica: i lebbrosi erano costretti a vivere fuori dai villaggi e dalle città. Quando si avvicinavano a un luogo abitato, la legge prescriveva loro di gridare: così le persone sane si allontanavano senza dover incrociare un lebbroso, considerato impuro e peccatore.
Dall’alto della nostra modernità viene spontaneo criticare queste tradizioni del passato e condannare. Meno facile è rivolgere lo sguardo alle nostre abitudini e renderci conto che in ogni tempo sono sempre incombenti i pregiudizi di vario genere. Pur se in forme meno drastiche, anche oggi esiste una censura sociale nei confronti di certe forme di malattia del corpo o della mente, quasi condannando all’isolamento e al silenzio le persone affette da certe malattie. Ma vige anche – non dimentichiamolo - una sorta di pesante congiura del silenzio sul senso della sofferenza, del male, del peccato, della morte.
Ma ritorniamo al gesto di Gesù che tocca il lebbroso. Violando la legge, Gesù si appella a un’altra legge, quella dell’amore, della misericordia, della compassione, della tenerezza. E’ la ‘legge nuova’, che viene dal cuore di Dio, nostro Padre, e che Gesù, il Figlio del Padre, svela a tutti con la sua parola e con i suoi gesti.
E’ molto eloquente anche il gesto del lebbroso che cade in ginocchio di fronte a Gesù e gli grida la sua sofferenza ma anche la sua speranza: “Se vuoi, puoi purificarmi”. In questa preghiera accorata, c’è tutta la fede del lebbroso, una fede forse non ancora precisa su Gesù Cristo ma sincera. E la fede, quando è pura e sincera, incontra sempre la mano amica del Signore che instaura con noi una relazione vitale: così è spianata la strada per il misterioso intervento di purificazione, di guarigione, di perdono, di salvezza.
Gesù tese la mano, lo toccò e gli disse: “Lo voglio, sii purificato”. Non a caso l’evangelista Marco colloca la guarigione del lebbroso tra i gesti che inaugurano il Vangelo. La guarigione di chi vive una condizione di estrema difficoltà e di lontananza, come quella del lebbroso, è molto significativa. Ed avviene grazie alla mano tesa che arriva a toccare il lebbroso, al punto che Gesù stesso, agli occhi della gente, contrae la stessa impurità. Forse per questo, come ricorda l’evangelista Marco, Gesù “non poteva più entrare pubblicamente in una città”. Gesù vince il male non da lontano, ma da vicino, facendosene carico, instaurando un rapporto con chi soffre: ci rivela così l’amore del Padre che si china su di noi.
Se questa relazione vitale con Dio, che ci è offerta in Gesù, è al primo posto della nostra vita, allora possiamo accogliere e vivere, fratelli e sorelle, l’invito dell’apostolo Paolo che, nella seconda lettura, ci prospetta un orizzonte aperto e luminoso: “sia che mangiate sia che beviate …fate tutto per la gloria di Dio”. Tutto è benedetto da Dio, tutto nella nostra vita acquista senso e valore se orientato al Signore. E il Signore con la sua mano ci accompagna nel cammino della vita.

Carissimi fratelli e sorelle,
invochiamo sulla nostra Chiesa di Chiesa di Piacenza-Bobbio questa mano amica che si china su di noi per guarirci dal male e per accompagnarci fino alla pienezza della vita. Al centro dell’arco del portale centrale di questa nostra maestosa cattedrale è rappresentata la mano di Dio che benedice. Vi è anche un’iscrizione: “Ipsius sunt tempora”, a Lui appartiene il tempo, è Lui a guidare il cammino della storia.
In questa fede antica, scolpita dai nostri padri nella pietra della nostra Cattedrale, colloco il mio cammino di pastore di questa Chiesa, a distanza di un anno dalla mia ordinazione episcopale in questa Cattedrale e del mio servizio tra voi. Un cammino breve ma molto intenso, nel desiderio di conoscere il popolo di Dio che il Signore mi ha affidato e di partecipare alle iniziative dei sacerdoti, dei religiosi e delle religiose, dei fedeli laici che con amore portano avanti la missione della Chiesa nel vasto territorio della nostra diocesi. Un cammino reso facile, sereno e gioioso grazie alla benevola e generosa accoglienza che mi è stata riservata fin dal giorno della mia ordinazione episcopale e confermata in ogni incontro, dai fedeli delle nostre comunità fino alle autorità civili, che avrei voluto ringraziare, per la loro amicizia e per la loro collaborazione.
Così come ringrazio tutti voi, carissimi fedeli, assicurandovi che ogni volta che passo davanti alla Cattedrale e ne ammiro la facciata, invoco su tutti quella mano benedicente di Dio, raffigurata al centro del portale. La invoco per interrecessione di Maria e dei nostri santi patroni, rendendo grazie al Signore perché molti si prodigano, come l’esperienza mi ha consentito di constatare, ad annunziare e a testimoniare con le parole e la vita che Cristo è davvero colui che ci purifica, ci guarisce e ci salva: egli è “il Salvatore di tutti gli uomini” (1Tim 4, 11).
Insieme ai sacerdoti, ai diaconi, ai religiosi e alle religiose contemplative e di vita attiva, ho incontrato uomini e donne che amano il Signore e per amore del Signore si fanno prossimi a coloro che soffrono per le malattie e per le prove della vita. Ho incontrato molti giovani che non hanno paura di prendere in mano il Vangelo, di aprire il loro cuore al Signore e di seguirlo sulla via della santità.
Ho incontrato anche uomini e donne che si dicono lontani. Vorrei dire loro che nessuno è lontano da quella mano benedicente di Dio. Essa è rivolta verso la piazza, verso tutti. E voglio subito aggiungere che anche per me nessuno è lontano, e, per quanto posso, anch’io desidero, anzi tutti noi, come comunità ecclesiale, desideriamo e vogliamo essere segno e strumento di questa vicinanza di Dio a tutti.
Questa sera l’invocazione della mano benedicente del Padre è più solenne, più comunitaria, più liturgica. Dal popolo di Dio qui radunato attorno alla mensa del Signore, sale la preghiera di lode e di ringraziamento: è la nostra preghiera di discepoli di Gesù che “fanno questo in sua memoria”. Con noi, per mezzo dello Spirito, prega Colui è il nostro Pastore, Gesù Cristo nostro Signore. Allora, nonostante la nostra poca fede, nonostante la stanchezza dovuta alle buone intenzioni non sempre realizzate, la nostra santa Chiesa di Piacenza-Bobbio si sente unita al suo Signore, la cui presenza e compagnia non dipendono dai risultati umani, ma dal suo amore. Cristo è con noi e opera in noi per farci partecipi della sua vittoria sulla schiavitù del peccato e su tutti i mali che provengono dal peccato. Sorretti da questa certezza, preghiamo il Signore perché ci aiuti a diffondere attorno a noi la speranza cristiana, di cui tutti abbiamo oggi particolarmente bisogno, anche per superare le molte difficoltà dell’ora presente. Amen.

+ Gianni Ambrosio
Vescovo di Piacenza-Bobbio

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