lunedì 24 gennaio 2011

Ambrosio alla stampa: abbiate cura delle persone

«Comunicare è sempre educare». Lo ricorda il vescovo Gianni Ambrosio nella sala degli affreschi della Curia dove ieri mattina (sabato 22 gennaio) ha ricevuto i giornalisti piacentini in occasione di San Francesco di Sales, patrono della stampa. Un'occasione per ringraziare i media locali «per l'importante lavoro che svolgono» dice Ambrosio, ma anche e soprattutto per ricordare che alla Chiesa sta a cuore il mondo della comunicazione «per la rilevanza imponente nell'educazione», come recita il numero 51 degli Orientamenti pastorali della Cei fino al 2020. In sala, oltre a numerosi giornalisti e collaboratori dei vari media piacentini, anche il direttore di Libertà, Gaetano Rizzuto, il presidente dell'Associazione stampa Emilia Romagna (Aser), Camillo Galba, la vice presidente dell'Ordine regionale dei Giornalisti, Carla Chiappini, il direttore dell'Ufficio stampa della diocesi, Fausto Fiorentini, sacerdoti giornalisti come il direttore de il Nuovo Giornale, don Davide Maloberti, il parroco di San Giuseppe Operaio, don Giancarlo Conte, il responsabile del Servizio diocesano multimedia per la pastorale, don Riccardo Lisoni.
Il vescovo Ambrosio inizia con una sorta di premessa che coinvolge personalmente i giornalisti. «Si comunicano le notizie, le informazioni, le nozioni, i fatti della vita - osserva - ma alla fin fine la comunicazione è sempre da una persona ad un'altra persona o a molte persone. In qualche modo, pur attraverso molte mediazioni e mezzi assai diversi, si comunica sempre qualcosa di sé a un'altra persona, si racconta sempre qualcosa di sé, e si coinvolge l'altro nel proprio racconto. E l'altro accoglie sempre qualcosa che proviene da un'altra persona». «Se si riconosce che la comunicazione avviene tra persone - continua - allora la comunicazione dovrebbe sempre ‘educare', nel senso di aiutarci a crescere come persone, altrimenti non vi è comunicazione».
Un atteggiamento per vari motivi distante dalla realtà odierna. Il vescovo lo sa e chiama in campo gli orientamenti pastorali della Cei per il decennio 2010-2020 dove «si prende atto della enorme possibilità di contatti: "La tecnologia digitale, superando la distanza spaziale, moltiplica a dismisura la rete dei contatti e la possibilità di informarsi, di partecipare e di condividere"». «Subito però - prosegue Ambrosio - si aggiunge: "anche se rischia di far perdere il senso di prossimità e di rendere più superficiali i rapporti". Per cui le possibilità sono grandi, ma incombe il rischio di superficialità dei rapporti e del venir meno della prossimità». «Si evidenzia poi - sottolinea - ciò che i processi mediatici compiono, e cioè danno forma alla realtà, la presentano secondo il loro punto di vista e secondo le possibilità del loro strumento, e poi arrivano all'esperienza delle persone, fino a influire sulla loro esperienza».
Poi il documento Cei offre tre consigli: «Il primo è quello di educare alla conoscenza e all'uso dei media... Ma questo non basta: occorre anche tutelare i soggetti più deboli: l'infanzia, ma non solo».
«Infine anche in questo campo, l'impresa educativa richiede un'alleanza fra i diversi soggetti. Perciò sarà importante aiutare le famiglie a interagire con i media in modo corretto e costruttivo, e mostrare alle giovani generazioni la bellezza di relazioni umane dirette». Come esempio di questa alleanza il vescovo cita l'ambito dell'università: «La questione dell'educazione e della comunicazione convergono ormai da tempo come discipline - scienze della educazione e scienze della comunicazione - che vogliono porsi al servizio dell'educare e del comunicare. Così è nata, come movimento che viene dalla base, prima nei paesi anglofoni e poi anche in Italia, la Media Education, un movimento pedagogico e comunicativo che si è fatto carico della integrazione curricolare dei media nella scuola, come risposta alle esigenze della cultura massmediale, della vita individuale e sociale». Per Il vescovo si può agire su due versanti: «Il primo è un intervento educativo da parte dei genitori e della scuola. Non solo. Tutti devono avere una certa "cura educativa". Anche chi comunica, chi è nel mondo della comunicazione e anche della pubblicità. La cura della relazione in cui si manifesta la preoccupazione per l'altro non può essere assente nel momento in cui si entra nel mondo dei media. L'attenzione verso l'altro nell'esercizio del comunicare è basata sul fatto di riconoscere l'altro come soggetto: ma se non lo riconosco come soggetto, non riconosco me stesso come soggetto. Se l'altro è una cosa, anch'io sono una cosa. E non è bello né per me né per l'altro».
Federico Frighi


23/01/2011 Libertà

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