lunedì 18 febbraio 2008

L'abbraccio di Ambrosio alla sua diocesi

Piacenza - Sono da poco passate le sei di sera e dal portale della cattedrale spalancato si intravede il cielo velato dall’imbrunire. Monsignor Gianni Ambrosio è il nuovo vescovo di Piacenza-Bobbio. Con la mitria postagli sul capo dal cardinale Tarcisio Bertone, l’anello, il pastorale nella mano sinistra, percorre per due volte la navata centrale del duomo di Piacenza. A fianco, indietro di un passo, il vescovo Luciano Monari, in un simbolico passaggio di consegne. È il segno della presa di possesso, dell’entrata ufficiale in diocesi del nuovo vescovo. Giunge quasi al termine di una lunga celebrazione che vede richiamare in Duomo oltre duemila persone. Tra chi è rimasto fuori davanti al maxischermo, chi ha seguito il rito in qualche postazione di fortuna, si stima siano tremila o poco più i fedeli che hanno partecipato alle varie tappe dell’ordinazione e ingresso del nuovo vescovo di Piacenza: la visita privata alla Cattolica, l’arrivo al monumento ai Pontieri, l’accoglienza dei giovani in piazza Sant’Antonino, il saluto delle autorità in piazza Duomo, la celebrazione.
Una celebrazione carica di simboli. Ogni momento, ogni gesto, ha un suo preciso significato. A cominciare dai sacerdoti che assistono monsignor Ambrosio. Sono due e stanno al suo fianco. Il più anziano: l’assistente ecclesiastico dell’Università Cattolica del Sacro Cuore a Roma, don Decio Cipolloni; il più giovane: l’ultimo sacerdote ordinato in diocesi di Piacenza nel 2006, don Stefano Segalini, vicario in San Giuseppe Operaio.
Con voce sicura, dopo che ancora una volta l’impianto audio del Duomo, nel momento clou, si mette a fare le bizze - lo scorso 22 ottobre dovette ritardare il suo intervento di saluto il vescovo Monari, ieri lo stesso destino è toccato al segretario di Stato di Sua Santità -, con voce sicura, si diceva, monsignor Ambrosio risponde alle domande del cardinale ordinante che delineano i compiti di chi è chiamato alla pienezza del sacerdozio. Nove domande alle quali monsignor Ambrosio risponde sempre «Sì, lo voglio», assumendosi così altrettanti impegni: l’adempimento fino alla morte del ministero affidato dagli Apostoli, la fedeltà al Vangelo, la custodia della fede, l’unità dei vescovi con il Papa, l’obbedienza e la fedeltà al Papa, la cura del popolo santo di Dio, l’accoglienza verso i bisognosi, la ricerca delle “pecore smarrite”, l’esercizio irreprensibile del sommo sacerdozio. Poco prima il cardinale Bertone aveva ricordato a monsignor Ambrosio i quattro pilastri del ministero episcopale: l’atteggiamento della ricerca, l’offerta di una vita spesa per il bene del popolo di Dio, la conoscenza del popolo di Dio, l’unità.
La cattedrale è gremita e applaude più volte nel corso della liturgia: quando monsignor Ambrosio entra in solenne processione dopo i sacerdoti e prima dei vescovi - una ventina tra i quali i consacranti Monari ed Enrico Masseroni (Vercelli), i piacentini Antonio Lanfranchi e Piero Marini - e dei tre cardinali (oltre a Bertone anche Ersilio Tonini e Luigi Poggi). Quando l’amministratore diocesano monsignor Lino Ferrari, nel suo saluto, ringrazia il vescovo Monari; quando il cardinale Bertone, al termine della sua omelia, ringrazia la novantenne signora Caterina, madre di monsignor Ambrosio; quando, sempre Bertone, porta i saluti di Benedetto XVI visto in mattinata, e in Duomo si sente aria di Vaticano; quando il vescovo Gianni annuncia la conferma di monsignor Ferrari a “vicario generale”. Il battimani spontaneo e sincero lo blocca. «Sì, è giusto» dice il vescovo, e si volta verso il suo “braccio destro”.
In duomo, anche stavolta, c’erano tutti: prefetto, questore, colonnello dei carabinieri, della finanza, autorità militari, parlamentari, presidente della Provincia di Piacenza, quello della Provincia di Parma, il sindaco di Piacenza, di Carisio (paese di origine di monsignor Ambrosio) e di molti Comuni facenti parte della diocesi piacentina-bobbiese. Fedeli provenienti da Vercelli, Santhià, Carisio, dalle sedi dell’Università Cattolica di Milano, Brescia e Roma: una piccola fetta dell’universalità della Chiesa Cattolica.
Ci sono emozione, commozione, attesa. Ambrosio prende la parola al termine della celebrazione. È un saluto, il suo, la prima vera omelia la terrà nella messa di questo pomeriggio, alle 18 e 30, in Duomo. Un saluto che arriva dopo l’omaggio di alcuni rappresentanti del popolo di Piacenza-Bobbio: la famiglia Bosi di Pontenure, con papà Massimo, mamma Valentina, i bambini Pietro e Beatrice; un giovane catecumeno, Kreshnik Dervishaj, che diventerà cattolico la notte di Pasqua assieme ad altre 11 persone, il diacono Emilio Boledi, il sacerdote don Giuseppe Sbuttoni, un religioso ed una religiosa. È il gesto che sta a significare la disponibilità della diocesi a camminare, illuminati dalla parola e uniti nella fede, sotto la guida del nuovo Pastore.
«È l’abbraccio che segna l’inizio del mio ministero - osserva il vescovo Ambrosio -. Esso è rivolto a tutti, e in particolare giunga, davvero fraterno, a tutti voi carissimi sacerdoti e diaconi». Cita e fa sue le parole del beato Giovanni Battista Scalabrini nel giorno dell’ordinazione episcopale: «Tutti finalmente vi abbraccio quanti siete, figli della santa Chiesa piacentina e miei amatissimi, alla cui santificazione e verace prosperità devo attendere». Inizia così il 107esimo episcopato della diocesi di Piacenza-Bobbio.
Federico Frighi

da Libertà, 17 febbraio 2008

Nessun commento: